La lumaca in Sicilia
Dall'antichità in Sicilia con il termine babbaluci vengono indicate le
lumache (chiocciole). L’origine della parola babbaluci
deriva probabilmente dall’arabo “babush”
termine che indicava le scarpe da donna con la punta ricurva verso l’alto,
difatti le pantofole di pezza in siciliano si chiamano “babusce”. Alcuni invece
ne indicano la provenienza dal greco “boubalàkion”,
che significa bufalo, a cui veniva paragonato il “babbalucio” per via delle
corna. Del loro consumo ci arrivano notizie che risalgono agli antichi Greci e
Romani che già fin dal 49 a.C. Utilizzate anche dalla medicina popolare
siciliana, venivano usate per guarire casi di esaurimento nervoso, contro l’
eccessiva magrezza e per curare i mali del fegato, ma anche per le
congiuntiviti dell’occhio e per le infezioni della pelle, dove venivano
applicate dopo essere state schiacciate e mischiate con del lievito,
accompagnando la medicazione con apposite litanie, “a razioni“. Dal punto di vista organolettico, i babbaluci hanno
carni tenere, con pochi grassi e con proteine simili a quelle del pesce, a
renderli poco leggeri è l’aglio soffritto nell’olio d’oliva, “l’agghia
‘ngranciata” Caratteristico poi è il modo in cui si mangiano queste “ghiottonerie
cornute”: alcuni utilizzano gli stuzzicadenti per tirare fuori il mollusco, ma
il vero siciliano ama mangiarle “cu
scrusciu” (il rumore del mollusco risucchiato), infatti per agevolare
l’uscita veloce della lumaca dal guscio, si pratica un piccolo foro, con il
dente canino, sulla chiocciola nella parte opposta all’apertura del nicchio
testaceo, in modo da creare un canale d’aria da cui il mollusco sarà
risucchiato. In fondo il vero piacere di mangiare i babbaluci è questo, e non
saziano mai, proprio come recita l’antico detto: “ziti a vasari e babbaluci a
sucari nun ponnu mai saziari” (Fidanzati da baciare e lumache da
mangiare non possono mai saziare).
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